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#JobCafè WITH Mauro Tinti

da | Set 28, 2020 | Uncategorized | 0 commenti

In questi tempi così complessi, che hanno visto e vedranno cambiamenti significativi  nel mondo del lavoro, uno dei settori quasi completamente dimenticato è quello dei lavoratori dello spettacolo. Noi, che ci occupiamo di lavoro da sempre, abbiamo deciso di dare loro voce e ascolto.

Iniziamo con Mauro Tinti, scenografo e costumista. Toscano classe ’74, laureato al DAMS, frequenta a Londra la scuola di scenografia Motley Theatre Design Course diretta da Alison Chitty e a Parigi approfondisce lo studio del costume storico e le tecniche sartoriali presso l’Atelier Caraco-Canezou, diretto da Claudine Lachaud. Tra i suoi lavori più recenti le scene e i costumi di “Gianni Schicchi” di Puccini al Festival Pucciniano di Torre del Lago, con la regia di Valentina Carrasco, i costumi di “Parsifal” di Wagner al Teatro Massimo di Palermo con la regia di Graham Vick, e le scene e i costumi per “L’empio Punito” di Melani al Teatro Verdi di Pisa con la regia di Jacopo Spirei.

Cosa ti ha spinto verso questo lavoro?

La passione, che credo di aver sempre avuto, nel creare “mondi” effimeri, immaginari, “altri”. Anche l’amore per l’architettura, l’archeologia e la storia hanno giocato un ruolo importante.

Che cosa ti piace di più e cosa non sopporti o ti piace di meno di quello che fai ? 

Una delle cose che più mi piace di questo mestiere è il lavoro di squadra: non parlo solo del team artistico (regia scene costumi luci coreografie cantanti e musicisti) ma anche di quello realizzativo: una scenografia non esiste se non ci sono artisti e artigiani capaci di realizzarla, macchinisti e maestranze capaci di montarla e movimentarla sulla scena. Mi piace il continuo scambio (e anche scontro, perché no?) che si crea ogni volta con moltissime persone, io posso essere la mente ma ognuna di loro è un pezzo che compone “la mano” che permette che tutto ciò poi prenda vita.

La parte più noiosa è tutta quella tecnica: i budget, i disegni tecnici, le piante, le varianti… ma perché io sono un pigro, fatto il progetto (e il modellino), poi non vedo l’ora di vederlo in scena!

Cosa ti è mancato maggiormente in questo periodo di lockdown?

Non solo la parte creativa e la sfida che ogni volta ne è parte, ma anche il legame “bizzarro”, quasi da famiglia disfunzionale, con tutte le persone che di volta in volta si viene a creare in ogni teatro, per ogni progetto. L’energia, fatta di entusiasmo ma anche frustrazione, che scaturisce in ogni spettacolo. E l’adrenalina che ogni prima porta con sè. È sempre un viaggio sulle montagne russe, ma il tracciato cambia ogni volta!

Che consigli daresti ai giovani che desiderano intraprendere questa professione?

Di essere tenaci e di tenere duro. Non c’è nessuna pillola da indorare, specie in questi tempi così incerti. E’ un mestiere che oltre al talento richiede anche un talento aggiuntivo “promozionale”: non si lavora quasi mai solo per curriculum, le relazioni sono importanti. E vanno pian piano stabilite e costruite, specialmente con i registi. All’inizio la gavetta e’ fatta di molti lavori pagati poco, ma che possono essere tasselli importanti in una carriera. Per questo, lo dico senza girarci intorno, avere una famiglia alle spalle che all’inizio ti può sostenere economicamente, è un vantaggio non da poco. Poi, come in ogni cosa, se non c’è la passione a tenere viva la fiamma, si va poco lontano.

Comunicazione QJ