Abbiamo incontrato, questa settimana, Francesca Porta, una degli chef di Eataly, anche se la definizione non le piace e preferisce presentarsi come “cuoca”. Il suo è un vero inno appassionato al lavoro che vive, innanzitutto, come un atto d’amore. “Devi essere innamorato di quello che fai, perché chi mangia quel piatto lo percepisce”. In un momento così difficile per il settore della ristorazione, la voce di Francesca ci è sembrata un raggio di luce nel buio che ancora, purtroppo, ci circonda.

 

Mi racconti come sei arrivata a fare lo chef o “cuoca” come ami definirti?

Mio padre aveva un’azienda di calzature e sono cresciuta in quell’azienda, ma col tempo ho capito che il mio futuro non sarebbe stato quello. Ho avuto la fortuna di incontrare Felice Lo Basso, mio carissimo amico di infanzia, che lavorava in Alto Adige come cuoco e mi ha dato la possibilità di intraprendere questa carriera. Ho cominciato dal basso, facendo uno stage di sei mesi non retribuito, fino a che l’azienda ha capito che poteva puntare su di me e mi ha dato l’opportunità di cominciare a lavorare con un contratto stagionale, come commis di pasticceria. Da lì è iniziata la mia gavetta.

Ma perché proprio la cuoca? Fra tanti lavori che ci sono perché hai scelto proprio questo?

Perché ho avuto sempre la passione della cucina. Vengo da una famiglia dove le donne erano prevalentemente casalinghe. Ricordo ancora mia nonna che ci cucinava tutto e le torte di mia mamma. Pensare a loro mi ha sempre trasmesso serenità. Quegli odori, quei movimenti delle mani sempre aggraziati ma sicuri mi hanno aperto un mondo che poi è diventato il mio mondo. Ho abbandonato quello che era il sogno di mio padre, anche se avevo molto investito sull’azienda, avevo fatto anche corsi per modellista di calzature, ma ho capito che non era la mia strada. Ho detto basta e ho inseguito il mio sogno di cucinare. Il mio hobby è diventato la mia professione.

Attualmente qual è il tuo lavoro?

Sette anni fa ho iniziato a lavorare per Eataly. Ho sposato il progetto, perché legato soprattutto alla materia prima ai prodotti di ottima scelta. All’inizio mi sono sentita un po’ imprigionata, come se avessi perso un po’ della mia libertà. Mi hanno aiutato le parole di mio padre: “l’importante è che tu riesca a fare il tuo lavoro sempre con amore”. E la scelta è stata particolarmente giusta, soprattutto in questo periodo.

A proposito, come stai vivendo questo periodo di Covid in cui è tutto un po’ fermo nel tuo settore?

Ho imparato l’attesa. Prima i ritmi erano molto veloci, in questo periodo tutto, inevitabilmente, si è rallentato. È un po’ complicato, specie per una come me che è abituata a stare continuamente in movimento. Però, soprattutto grazie ai social, ho potuto regalare ai miei amici pugliesi come me, che non riesco a vedere spesso, le mie ricette che hanno molto apprezzato. E questo mi ha regalato serenità, perché mi manca il contatto umano, l’abbraccio, il condividere un panino o un piatto di zuppa caldo, quando tutto questo è diventato impossibile, ho cercato di farlo nel modo che conosco: condividendo una ricetta.

Ai giovani che volessero iniziare a fare questa strada, così creativa, che cosa consigli?

Di inseguire il sogno. Non è importante avere un diploma di alberghiero per inseguire il proprio sogno si può fare anche imparando sul campo, come ho fatto io, impegnandosi, osservando di più il mondo della cucina, senza guardare la tv e quello che gli altri vogliono farci credere che la cucina sia. Ho iniziato caricandomi sulle spalle le casse di mele, perché uno dei primi dolci che ho imparato a fare è stato lo strudel di mele per le stagioni in Alto Adige, e ricordo che il mio pasticcere mi faceva andare a caricare le casse di mele. Tornavo a casa distrutta, però pensavo sempre che quella stanchezza mi avrebbe portato dei risultati, come è stato. Non è il Master Chef che ti insegna e ti apre il mondo della cucina. È il sacrificio, il coraggio le lacrime e l’amore. Si parte dal pelare le mele, le patate, a imparare a organizzarsi bene, perché se sei organizzato bene in cucina il lavoro riesci a farlo. L’organizzazione è fondamentale, puoi anche sbagliare qualcosa, ma se sei organizzato non ci sono problemi. Ma soprattutto devi essere innamorato di quello che fai, perché chi mangia quel piatto lo percepisce. Teoria giusta e tanta pratica: parlare con gli ingredienti, accarezzarli, perché dietro ogni ingrediente c’è il lavoro di qualcun altro che tu, cuoco, assolutamente devi apprezzare coccolare, amare, perché se ami quello che fai il piatto lo dice. La parola è amore.